venerdì 16 marzo 2012

Big in Japan: Anime

Se si vuole parlare di Giappone, non si può non parlare di Anime. Il termine è un neologismo con cui in Giappone, a partire dalla fine degli anni settanta, si indicano l'animazione ed i cartoni animati. Ma non voglio parlare di luoghi comuni, ma spiegare alcune particolarità che in Italia (come al solito) ignoriamo.
Secondo un'accezione generica si tende a definire anime come sinonimo di "cartone animato giapponese", nonostante un ormai sorpassato luogo comune occidentale che riduce l'animazione giapponese ad un prodotto rivolto ad un pubblico infantile oppure a carattere pornografico, confondendo in entrambi i casi una parte per il tutto. Esso è potenzialmente indirizzato ad ogni tipo di pubblico, dai bambini, agli adolescenti, agli adulti, fino ad arrivare ad una specializzazione del target con anime concepiti per categorie specifiche quali impiegati, casalinghe, studenti, e via dicendo. Essi, pertanto, possono trattare soggetti, argomenti e generi molto diversi tra loro.
In Italia invece si pensa che i cartoni siano solo frivoli per bambini, in realtà ogni anime ha la sua fascia d'età, solitamente indicata dall'età del protagonista. Penserete: ma come, i protagonisti sono sempre ragazzi. Si ma non tutti hanno la stessa età. In genere l'anime è pensato come una serie tv, quindi una trama che si evolve e con i protagonisti che invecchiano. Il ragazzo quindi "cresce" con l'anime, e di conseguenza (solitamente) crescono anche i temi trattati. Esistono 5 tipologie di massima di anime:
  • Kodomo – per bambini fino ai 10 anni;
  • Shōjo – per ragazze dai 10 anni fino alla maggiore età;
  • Shōnen – per ragazzi dai 10 anni fino alla maggiore età;
  • Seinen – per un pubblico maschile dai 18 anni in su;
  • Josei (o Rēdisu) - per un pubblico femminile dai 18 anni in su.
Evidentemente, poi, ciascun genere demografico privilegia determinati soggetti rispetto ad altri, per cui un anime che ad esempio tratti di fantascienza sarà più probabilmente uno shōnen che uno shōjo, e così via. Per ogni fascia d'età esiste così un adeguato orario di programmazione, dalla mattina alla notte fonda, in base ai contenuti del prodotto. Ma nonostante tutto questo, c'è una grande piaga che in Italia "violenta" gli anime: la censura.
Come dicevo prima, a causa di un equivoco culturale di fondo, che in Italia e in Occidente vuole l'animazione rivolta sempre e solo ai bambini, molti anime destinati originariamente ad adulti o adolescenti sono stati infatti adattati forzatamente per una fascia di età infantile. In Italia, a partire dalla metà degli anni ottanta, l'animazione giapponese ha subito nei passaggi televisivi sulle reti nazionali (Rai e soprattutto Mediaset) una censura sistematica, operata attraverso adattamenti inadeguati, traduzioni superficiali dei copioni originali, giunti talvolta incompleti, tagli e modifiche arbitrarie. Il cambiamento di target ha così comportato una revisione, se non talvolta la riscrittura dei dialoghi per renderli fruibili da un pubblico molto più giovane, ed il taglio di sequenze o, più raramente, di intere puntate, ritenute non adatte ad una platea infantile. In Giappone l'animazione è considerata, al pari della cinematografia, una forma d'espressione artistica che può veicolare contenuti d'ogni genere e tipo, destinati a fasce d'età differenziate.
Da notare che anche alcune serie animate di produzione americana come I Griffin e South Park hanno subito delle censure, specialmente durante la loro trasmissione sulle reti in chiaro, ma in genere i cartoni animati statunitensi tendono a essere meno censurati perché già destinati in partenza ad un pubblico di maggiore età.
Ci sarebbe tanto ancora da dire sulla censura, ma mi perderei troppo. Comunque un giorno farò un post solo su quello. Ora meglio parlare solo delle cose belle del Giappone!

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